Descrizione
Autori presenti:
Annalinda De Toffol, Tiziana Lari Scatarzi, Emiliano Brunori, Grazia Mazzeo, Amanda Buisan Ferrer, Marco Belli, Hely Kart, Fabio Martini, Alessandro Cozzolino, Elisa Vespucci, Pietro Pizzichemi, Stefania Balsamo, Roberto Cantoro, Miguel Capriolo.
Prefazione di Simone Gambacorta
Quando Fabio Martini mi ha parlato per la prima volta del gruppo Facebook L’Inedito, sono rimasto colpito dal fatto che la curiosità per quel che mi diceva guadagnasse di secondo in secondo terreno sulla diffidenza con cui avevo iniziato ad ascoltarlo.
Come giornalista mi occupo dalla mattina alla sera di libri e cose culturali e spesso mi capitano situazioni bizzarre e figure bislacche, perciò ho imparato a essere prudente e a tenere le distanze di sicurezza, con tanto – se d’uopo – di dribbling salvifici. Però in quello che l’ineffabile Martini diceva sentivo qualcosa che mi tirava dentro: era il suo entusiasmo. Era quello l’ingrediente che disattivava le mie cautele. Così alla fine (ribadito a me stesso che prendersi sul serio a oltranza è dopotutto stupidissimo) mi sono deciso ad ascoltarlo senza preoccuparmi più di tanto di dove saremmo andati a parare.
Che diamine – ho pensato dopo un po’ – qui c’è qualcosa di fondamentalmente sano: qui ci sono persone che dal 2009 parlano su Facebook di scrittura e da questo sodalizio sono nate antologie fatte con i versi e i racconti di quelle stesse persone (Senza trucchi né ritocchi, Un arco nel portaombrelli e Racconti per l’estate). Per giunta mi pareva che nessuno degli iscritti al gruppo avesse ambizioni diverse dal condividere con gli altri l’amore per la scrittura, e che in definitiva tutta la tribù non volesse far altro che danzare felice e contenta attorno al fuoco sacro della parola da mettere su carta (la carta al tempo del web, ma a partire dal web).
Qualche tempo fa ho intervistato Mario Fratti, il drammaturgo abruzzese che da decenni spopola negli States. Nel parlare di non ricordo quale suo collega, Fratti ne commentò positivamente un lavoro e disse che era una buona commedia.
Non era uno stratagemma per dire una cosa e sottintenderne un’altra: era una buona commedia perché era il frutto di un buon artigianato.
Fratti dagli Usa (è a New York dal ’63) ha assorbito questa idea non negativa della medietà. Come dire: non è obbligatorio scrivere un capolavoro per fare un buon lavoro.
Credo che il discorso, con tutte le proporzioni del caso (e non sono poche), si possa grosso modo applicare ai racconti di Rosso come il grecale, dove vedo soprattutto il desiderio di tutti di impegnarsi per tentare di fare un buon lavoro.
Siamo dalle parti della lecita aspirazione a impratichirsi con una strumentazione che per altri può assumere le fattezze degli scacchi o della musica, ossia strade che si scelgono senza per questo voler diventare Kasparov o Hendrix. In ogni caso, se ho accettato di introdurre quest’antologia non l’ho fatto per avallare la qualità dei racconti, ma perché mi ha colpito il “fenomeno” a monte.
Provo a spiegarmi. Byung-Chul Han insegna che «lo sciame digitale è composto da individui isolati», è cioè un flusso frazionato, spezzettato, pulviscolare. Il mondo social ne è la suprema dimostrazione: su Facebook ognuno è un corpuscolo dell’immane flusso, dello sterminato sciame di facce online.
Nell’assembramento, però, nessuno davvero parla con l’altro. Le regole del gioco sono cambiate, l’«ordine dell’interazione» di Goffman è stato sovvertito, ognuno viaggia per conto suo (la rappresentazione sul palco social esige il monologo in primo piano, l’emblema ne è il selfie).
È curioso come questa nostra era ipericonica possa essere spiegata con un’icona pretelematica, il dipinto Un popolo di volti di Ernesto Treccani, che è una concentrazione di volti addossati l’uno all’altro, proprio come Facebook.
«Allo sciame digitale manca l’anima della folla» (percepibile invece ne Il quarto stato di Pellizza da Volpedo) e perciò è un insieme di solitudini, come in un neo-feudalesimo mediale più che medievale («il Medioevo è una civiltà largamente iconica», osservava il grande e purtroppo dimenticato Giuseppe Paioni). Si capisce allora quanto possano essere intriganti le eccezioni all’andazzo generale.
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