Descrizione
Dal primo capitolo:
Dal fondo di quella strada ho troppi ricordi. Alcuni opachi come tracce labili ed evanescenti, altri invece li ho impressi nella memoria come pietre. Le pietre del muro che delimitavano il giardino di Florence.
Lo ricordo benissimo quel giardino. Cinto da fiori colorati e belli. Ogni mattino Florence li inumidiva regalando ai passanti esclamazioni di umana gratitudine alla natura.
Era bella, Florence. Bella e gentile. Come il suo nome.
Certe volte mi piaceva guardarla da lontano.
Eravamo amici. Passavamo ore in compagnia degli altri e nulla faceva presagire che un giorno io e lei saremmo stati legati da qualcosa che avrebbe prescisso ogni nostro volere.
Qualcosa di drammatico e doloroso a segnare ognuno di noi nel profondo dell’anima, per sempre.
Quella volta scorrevano gli ultimi giorni di primavera e le rive della Senna erano un incanto.
Al ponte Barcy, Florence e le sue amiche, in quei giorni quasi caldi, andavano a passare il tempo.
Ci piaceva guardarle da lontano, seguirle senza interferire o inibire la loro spontanea irruenza. Io e i miei amici, di cui non ricordo nemmeno il nome, eravamo travolti da quel fresco e spumeggiante richiamo dei loro corpi giovani e disinibiti. Insomma non le perdevamo mai d’occhio.
Florence la ricordo con i piedi nell’acqua, in quell’angolo del fiume, soffocato dalla fitta vegetazione nata senza regole dove s’intricavano grossi cespugli di more.
La Senna si stendeva nella sua maestosità sino ad arrivare alle periferie più lontane.
Si divertivano ad affondare con la punta dei piedi le foglie che galleggiavano sospinte dalla brezza leggera di quel pomeriggio, sotto un pigro sole che giocava a nascondino tra le nuvole. Teneva alzata la veste, verde anch’essa come le foglie che affondava nell’acqua. Sollevata fino alle ginocchia mostrava le sue bianchissime gambe lunghe e magre.
Pareva divertirsi molto a infliggere alle foglie quella tortura tenendole il più possibile sott’acqua, mentre soffocate effondevano bollicine solleticandole i piedi.
Una foglia, poi un’altra e mentre stava per schiacciarne un’altra ancora, la vidi avere come un attimo di esitazione. Due minuscoli occhietti la fissavano. Si fermò ad osservare. Era una piccolissima rana che forse non avrebbe neppure avuto il tempo di salvarsi se Florence non avesse interrotto quel gioco da bambina.
Si guardò intorno a cercare con lo sguardo Esperia, che era con lei quel giorno, ma che a differenza sua, se ne stava in mezzo una piccola radura a cogliere fiori. La scorse, ma non la chiamò.
Alzò ancora di più la gonna, quasi fino alle natiche e uscì lentamente dall’acqua. La piccola rana sulla foglia trasportata dolcemente dall’acqua, si allontanò guardando le sue bianche gambe.
E io stavo lì, nascosto dietro un cespuglio. Io e gli altri due insomma, eccitati dalla visione di quelle due belle gambe. Ce ne stavamo lì a fare cose che meglio non dire ed Esperia che continuava a raccogliere fiori colorati; ognuno quasi strappato sembrava gridasse di dolore, come un figlio strappato con la forza alle braccia della madre.
E’ forse per questo che lei li accarezzava e a volte li baciava, come volesse farsi perdonare. La loro fragranza probabilmente era una sorta di seduzione per Esperia; sapevano di nuvole pregne di pioggia che inebriandole le rianimava per gli ultimi colori da donare alla vita. Una sorta di inconsapevole transfert rivedeva in essi se stessa bambina, strappata dalle braccia della madre alcolista. Violenza latente, forse, che riversava su fiori indifesi.
La osservavo. Mi eccitava quella sua spietata gentilezza.
Ogni qualvolta si chinava a raccogliere un fiore, era come se il sipario di un palcoscenico si chiudesse, sottraendola alla mia vista.
Aspettavo che si alzasse nuovamente. Giocavo a guardare, prima Florence e poi Esperia, torcendo il collo come una giraffa, soggiogato e blandito dal vento che pareva portare oltre la calura, anche presagio di bufera. Celato dal mio folto cespuglio lasciavo impazzire il mio sguardo.
Avido bramavo la gentilezza violenta di Esperia, ma anche la visione della pelle candida di Florence, che nel frattempo aveva ripreso quel gioco ad affondare le foglie.
Florence saltava e rideva. La frescura dell’acqua, saliva sulla sua pelle e sempre più su. Lanciando piccoli gorgoglii di risata, osservava quel mondo intorno a sé di cui si sentiva padrona assoluta.
“Uno due e tre. Ora, ti prendo farfallina… uno due e tre“.
Pareva una bambina che facesse del canto la sua compagnia. A saltelli si avvicinava sempre più al cespuglio dietro il quale ero nascosto come un cacciatore di frodo. Che i miei amici, coi sensi già soddisfatti, si erano allontanati. Io pure, ma non ero andato via con loro, ero rimasto e sebbene non aspettassi prede, avevo i sensi ancora infiammati dalla visione di quei cerbiatti salterini.
Il grido di Esperia, che aveva preso un grillo per le zampe, fermò il gioco di Florence che impaurita si volse a cercare l’amica. Aveva gli occhi sgranati dallo spavento.
“Cosa c’è Esperia?” Gridò.
“Ho preso un mostro!” Fece di rimando Esperia.
“Un mostro?”
“Siìì corri!”
Sempre dietro al cespuglio mi trovavo ad osservare la scena e sbigottito da quelle scemenze mi sentivo per un momento quasi un uomo fatto e finito.
“Un mostro? Questa è scema.” Pensai.
“Bambinette!”
A passi lenti, sempre tenendosi sollevatala gonna, Florence, raggiunse l’amica e come affacciata ad un davanzale aveva chinato il collo per osservare la piccola bestiola.
L’erba alta, mossa appena dal venticello, mi rubava e restituiva un attimo dopo la visione di quelle belle gambe.
I suoi movimenti aggraziati erano un rapimento di sensi sembrava che il mondo attorno a loro fosse lo specchio della loro bellezza e gioventù.
Il verde dell’erba e il grillo, sempre più impaurito, erano l’essenza stessa di quel momento. Poi, un improvviso scatto di ribellione, costò molto caro al piccolo grillo che con un colpo di reni si liberò dalla morsa, ma ahimè lasciò una zampa tra le dita di Esperia.
Esperia indossava una maglietta rossa, dallo scollo profondo e aveva i capelli raccolti a coda di cavallo e se, poco prima, proprio come un cavallo, scalciava al colmo della felicità per aver vinto la sua paura e aver tenuto tra le dita quello che per lei era un mostro, ora piangeva.
Quell’improvviso epilogo, l’aveva lasciata stupefatta e al contempo addolorata. Tra le dita stringeva ancora la zampina del grillo.
Io non riuscivo a capire cosa si dicessero ma vidi solo che Florence lasciando cadere la gonna s’era chinata a cercare il piccolo grillo mutilato.
Attonita Esperia sembrava non capire cosa avesse spinto l’insetto ad un atto così eroico. Pur di liberarsi non aveva esitato a sacrificare una zampa.
“Perché, non lo hai lasciato?” Chiese.
“Volevo prenderlo io”. La rimproverò Florence.
“Si è dibattuto, guarda!” Disse mostrando la zampetta ancora tra le sue dita.
“Mi ha lasciato questo!” Fece mostrandole l’arto.
“Poverino!” Gemette, mentre Florence ancora continuava a cercare tra l’erba la parte superstite del grillo.
Esperia, guardando la zampetta, piangeva.
Aveva sfregiato un innocente e si sentiva ancor più mostro.
Il gioco si era trasformato in tragedia.
La luce del giorno andava diminuendo. Il sole era quasi sparito nel pomeriggio inoltrato.
Negli occhi ancora avevo viva l’immagine delle gambe bianche di Florence. Era un’ossessione che ancora avrei riguardato volentieri e mentre l’erba mi si avvolgeva attorno a me sdraiato., improvvisamente dalla macchia spuntò un’ombra; fu un lampo velocissimo. Un grido e un tonfo.
Florence si alzò. Urlando corse verso l’amica che giaceva sull’erba, con un taglio alla gola, distesa come un angelo, con gli occhi aperti, senza vita.
Florence impietrita non riusciva a parlare. L’ombra intanto si era allontanata con una velocità inumana.
Ero ancora dietro il cespuglio, tutto nella mia testa si era improvvisamente fermato.
Come se cercassi il coraggio di svincolarmi da quel giogo, frugai dentro di me alla ricerca del coraggio per reagire. E lo trovai.
Uscii dal cespuglio e raggiunsi Florence per abbracciarla. Lei si rannicchiò tremante contro di me. La notte intanto stava nascondendo a poco a poco il mondo intorno.
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