Descrizione
L’incipit e “La bandella” di Fabio Martini
Una poesia è fatta non solo di parole ma di anima, non è solo rimaneggiata e posta alla bisogna nel luogo prediletto, ma è una parola che si nasconde tra gli spigoli delle altre più esibizioniste e nonostante si sia nascosta, quella parola, quel termine: quella chiave, emerge. Emerge la poesia e tutte le altre parole che parevano magnificenti diventano meri orpelli e la chiave erge in piedi e rappresenta la scena come su un palco teatrale tra la folla in piedi per una standing ovation…
In molti casi la faccenda è complessa e camminarvi sopra, in modo superficiale, si rischierebbe di rompere tutto quel po’ po’ di uova. Un terreno pericoloso, pieno di anfratti d’amore, di nuvole che prima coprono e poi d’incanto rischiarano mondo e umore. Tutte le stagioni vengono fatte riemergere: abbiamo il gelo e il sole, abbiamo la pioggia e il manto nervoso della notte, abbiamo il sotterfugio ed il tradimento; ma anche l’amore folle che ansimante si mette a disposizione di eros. Si vede tutto quello che si deve vedere in questa poesia d’amore sconfinato, senza alcun freno, in mano al Padreterno ci verrebbe perfino da dire e quando mi capitarono le poesie di Clara Bessi, mi resi subito conto che dietro quella scrittura aperta e colta, dove i richiami al mito storico dei greci e dei romani è tanto forte da sentirne rullare i tamburi, ebbene, in quell’ultimo suono di tromba c’era solo poesia, la poesia stessa fatta padrona. Se dovessi paragonare tutto ad un suono musicale parlerei di new age anni novanta oppure quei classici della musica pop, dove la melodia era chiara e contornata, il suono era singolo ed espanso, e dove pathos era empatico e parafrasando la nostra poetessa: Marte s’imponeva / silenzi laceranti / poi venne Afrodite / che parlò / e di Cassandra non c’importò nulla / che Apollo risplendente subito la negò…
L’autrice
Quest’opera è stata scritta in un clima di forte concitazione , tra la gioia di sentimenti intensi e purissimi e la paura di perderne il calore e la dolcezza . I versi scorrono sul filo dell’ innamoramento nel suo divenire : dalla complicità crescente alimentata dalla poesia , alle manifestazioni d’ angoscia per un tradimento brusco e improvviso . Si è voluto qui rivisitare tutto il percorso della quarta opera – “Rose azzurre nel deserto” – salvandone il testo originale in più parti , ritoccandolo in altre e integrandolo con poesie concepite successivamente . L’ intento non è quello di indugiare nei vecchi percorsi ma piuttosto di segnare una linea di confine con un mondo di sentimenti sprecati . Si intravede in questa prospettiva , lo sforzo di ridare fiato alle vele di una nave squassata dopo la tempesta per trovare un approdo : l’ anima , stordita dal disordine di un amore alterno e bizzarro , a tratti complice e sfuggente – cerca infine riposo nella cura di sé e nella relazione col mondo , accostandosi alle cose con uno stupore diverso : non già derivante dal tumulto della relazione amorosa , ma da una quiete accesa : un disincanto , che , sgombro da ogni cinismo , coglie la bellezza intrinseca della vita nella sua universalità e ne sente il battito partecipe dentro di sé . Muove perciò alla ricerca di nuova linfa e si libera così “dal sortilegio dell’ indifferenza “ in cui era rimasta intrappolata dopo il brusco risveglio da un sogno fedifrago durato troppo a lungo . Il passato viene rivisto attraverso lo specchio retrovisore della propria identità andata perduta , e deposto come un violino senza suono in una custodia di memorie spente . Una luce si annuncia in fondo al tunnel.
Respiro di primavera
Ed il tuo verbo
risuonò nell’aria
con il suo nitore luminoso.
Persefone lieve
uscì dall’ombra,
soffiò la neve,
si cosparse d’ambra.
Danza nel vento
Il gelo? Io non so che cosa sia…
perché non mi appartiene.
Ho nelle mani l’oro e la follia.
E le mie pene
dopo il temporale,
volgo in un canto di malinconia.
E succhio il male
dalle rocce mute,
ne faccio note acute
di poesia.
Leggera silfide
scivolo sui fori.
In acque limpide
stempero colori.
Allargo sorrisi di corolle.
Danzo nel vento,
nel fuoco delle zolle,
in uno spazio senza tempo.
Disfo stelle cadenti
d’ inquieti smarrimenti
a notte fonda.
A cielo aperto,
snodo concerti
d’anima gioconda,
che Dio volle creare
sotto il sole…
con la risata complice del mare…
col vento che solletica le viole.
Solitudine
Solitudine, dualismo di colore,
quest’ombrosa fata sempre pronta
a barattare con se stessa
s’insinua nel punto di confne
tra la terra spaccata
e un lembo di cieli sconfinati.
Ora un acino dolce
ora una scorza d’amarezza verde…
così giocando sempre
a testa o croce.
Spesso si perde.
Attinge talora ad una voce
che sa di festa e d’amicizia:
argento di monete
nell’acqua di un sorriso
che colma calici d’ambrosia!
Lettera aperta
Ecco, tutta la musica si tace.
Tu sei foschia
tra l’erba che si pasce
di malinconia.
Ero una roccia
scolpita dal dolore.
Ora ti ho perso
ma so cos’è l’amore.
E ti ringrazio, caro,
fa lo stesso.
Mi faccio quercia,
mandorlo, cipresso.
Vivo di squarci,
d’ombre, di foreste…
E di memorie meste.
La pioggia sento amica
perché il sole
mi volse le spalle
troppe volte.
Le luci tolte
sempre alla speranza
ne fecero danza
di pensieri.
Dell’inverno
non temo l’arroganza
né l’abbraccio caldo
dei misteri.
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