Descrizione
IL DIAVOLO IN OSTERIA
Belzerugo apparve all’ingresso del locale e aprì la porta a vetri con esibita spavalderia. Portava il cappello a tesa larga, floscio sulla fronte.
“Salute a tutti buona gente!” Esclamò togliendosi un attimo il cappello e rimettendoselo subito.
Era un povero diavolo decisamente male in arnese. Lo si sarebbe potuto prendere per un vagabondo. I pantaloni di fustagno marrone, il giaccone pesante di panno scuro di colore indefinito. Le scarpe grosse e consumate ma ancora solide.
Io me ne stavo seduto al mio solito tavolo osservando distrattamente gli avventori dell’osteria.
Quattro vecchie conoscenze giocavano a briscola bevendo vino e parlando poco.
Al tavolo più defilato in fondo al locale fumoso, il Gianni e la Carla stavano seduti sussurrandosi parole dolci all’orecchio, mano nella mano, guardandosi negli occhi, persi nel loro sogno d’amore.
Vicino a me, al tavolo grande, c’era un gruppo di viaggiatori che bevevano, mangiavano e schiamazzavano. Li sopportavamo soltanto perché offrivano un giro a tutti, a ogni nuova portata della lauta cena.
Nessuno diede segno di aver riconosciuto la natura del nuovo ospite anche se tutti sapevano bene chi fosse.
Con fare dimesso, il diavolaccio vagabondo, si sistemò a un tavolo vicino al grande camino di pietra. Aprì la giacca e si protese con le mani verso il fuoco che subito ebbe un sussulto di simpatia per il nuovo arrivato ed avvampò gioiosamente animato di nuova energia.
L’oste, Guccione, squadrò da capo a piedi il nuovo arrivato.
“Eehhh… stanotte qualcuno non dormirà bene, mi sa tanto”. Disse sospirando con rassegnazione.
“Oste! Bravo oste!” – esclamò il diavolo – “Una bottiglia di vino rosso forte e un piatto di affettati e formaggi per questo povero diavolo infreddolito! E pane! Il buon pane della terra!”
La figlia dell’oste se ne stava irrigidita e immobile dietro al banco osservando con occhi afflitti il vecchio demonio.
“Lisetta!” – la richiamò il padre mettendosi lo straccio sulla spalla e iniziando subito a tagliare il prosciutto – “Forza! E’ solo un povero diavolo. Non ti fa niente. Porta il vino all’ospite”.
La ragazza, adolescente di generose forme, si pulì le mani nel grembiule e afferrò una brocca.
Mentre tutti tornavano a pensare alle loro faccende, mi concentrai un pochino sul nuovo arrivato.
Ci scambiammo un’occhiata e un saluto cordiale.
Avevo già incontrato altri diavoli come questo.
Sapevo che non era pericoloso, bastava non dargli troppa confidenza, ma trattarlo con rispetto…
Quando si ha a che fare coi demoni, bisogna stare attenti comunque. Eh sì! Anche il più disgraziato dei demoni se lo lasci fare ti fotte.
“Belzerugo!” – Disse il demone, rivolto verso di me e alzando il boccale di vino.
“Alessandro!” – Risposi io di rimando, alzando il mio bicchiere di cognac.
“Qual vento ti porta in questo paese, Belzerugo?” – Gli domandai dopo aver sorseggiato il liquore.
“Le solite faccende, caro professore. Quando qualcuno chiama, noi arriviamo.”
Si strofinò energicamente le grosse mani callose e annerite e si ficcò in bocca un grosso pezzo di formaggio avvolto nel prosciutto.
“E ovviamente, me meschino, in questi posti fuori mano e freddi ci mandano i poveri diavoli come me.” Aggiunse parlando con la bocca piena.
“Certo che lei, quel suo problema con l’alto papavero della capitale, potrebbe farselo risolvere da noi” – Continuò biascicando rumorosamente.
Non mi stupii che il diavolo sapesse le mie faccende, è loro prerogativa da sempre.
“Non mi sporco l’anima solo per avere un avanzamento di carriera, caro Belzerugo.” Gli risposi sorridendo.
“Giusto giusto!” – Convenne lui continuando ad ingozzarsi – “E se tutti ci invocassero per ogni problema, non basterebbero tutte le legioni dell’Inferno” – Aggiunse e prese a ridere sguaiatamente.
La risata del povero diavolo assunse una tonalità cavernosa, il viso, già rosso per il fuoco, il vino e la sua natura luciferina, si fece addirittura viola.
Per qualche istante rimasi a guardarlo, pensando che questi diavoli di campagna non sapevano proprio limitarsi. Mi resi conto, vedendolo rovesciarsi per terra con tutta la sedia, che invece stava soffocando. Uno dei suoi fenomenali bocconi gli era andato di traverso mentre rideva.
Mi precipitai su di lui, lo presi per le ascelle, lo tirai in piedi. Un leggero odore di zolfo mi penetrò le narici mentre, tenendolo con le braccia serrate sullo stomaco, cercavo di sbloccare la sua infernale trachea.
Per alcuni secondi tutti, nell’osteria, rimasero immobili a guardarci. Poi con un rumore di pentola scoperchiata, Belzerugo riuscì a sputare il groppo.
Lo rimisi a sedere e gli diedi ancora un paio di pacche sulle spalle. Il diavolaccio si appoggiò con i gomiti al tavolo coprendosi con le mani la faccia ancora paonazza.
“Offhhh!” – Grugnì mentre si asciugava le lacrime che copiose gli scendevano sul viso – “Grazie professore, grazie, grazie. Questa volta me la sono proprio cercata. Se non c’era lei mi toccava rientrare nell’aldilà senza aver finito la commissione”.
Parlava con sincero rammarico, si versò un boccale di vino e lo trangugiò d’un fiato.
“Ehhh… voi non sapete quanto si arrabbi il Capo, se torniamo senza aver fatto il nostro dovere. Non ve lo immaginate proprio quanto diventa violento. Una volta non riuscii a portare a termine il mio incarico, ero ancora giovane e inesperto e mi attardai con una pulzella. Al mattino mi ricordai che il cliente doveva essere accontentato prima del sorgere del sole e non potei fare altro che tornarmene a casa.” – Mentre raccontava questo aneddoto, gli occhi presero di nuovo a lacrimargli, ma questa volta di paura.
“Quando il Capo lo venne a sapere, ovviamente tutti facciamo la spia molto volentieri dalle nostre parti. Beh, insomma, ero giovane e anche piuttosto bello, sapete? Mi fece strappare le unghie e mi bruciò la pelle del viso”.
Si protese verso di me, tirandosi il cappello sulla nuca – “Guardi qua professore, ho ancora i segni dopo 400 anni!”
In effetti la pelle del suo viso era irregolare e gonfia, venata di striature più scure, ma si notavano solo a uno sguardo attento.
“Mi ha dato una lezione coi fiocchi. Da quel giorno non ho più mancato una commissione. Sempre in orario e sempre attento a soddisfare il cliente.”
Mentre raccontava le sue disavventure, annuivo con la testa e con gli occhi semichiusi cercavo di trasmettergli tutta la mia umana comprensione.
Belzerugo finì di cenare, mi offrì un ultimo bicchiere, per riconoscenza e se ne uscì fuori al freddo di Dicembre, per portare a termine il suo incarico.
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