Descrizione
Che dire? È stato come un colpo di fulmine leggere il manoscritto di Medea – al secolo Silvana Campese – per me, figlio di una sinistra comunista intransigente e per di più nato in una città simile a Napoli per i tanti scorci di centro storico e discese al mare: Genova. Io poi, sempre io, che proprio in questo 2019 compio sessanta anni e che quindi a metà degli anni ’70, a sedici, mi avvicinavo alla politica per poi lasciarla ben dieci anni dopo per dedicarmi a tutt’altro, per la rimanenza di ciò che rimase e resta. Oggi, sempre io, portavoce di una piccola casa editrice appena nata, che pur’essa in questo marzo piovoso, compie qualcosa di importante: un anno di vita. Neonata quindi e poverina, nella gabbia dei leoni editoriali e per questo da alcuni di noi, protetta e adorata. Un gruppo di pazzi per passione insomma, che nella scrittura hanno posato parte del loro tempo quotidiano sottoforma di associazione letteraria, ebbene quindi, per me, figlio di un comunismo aperto a tutti i generi – come piace chiamare oggi le contraddizioni del capitalismo attraverso il suo caratteristico mondo borghese, esprime tutti gli errori possibili per poi poterli correggere, parlandosi costantemente addosso – in tutto questo: le nemesiache e Nemesi stessa. Medea stessa, amica da molto tempo e le amazzoni tutte: le donne in lotta a volte in solitaria, figlie di una voglia infinita di nemesi ma questa volta di una nemesi etimologica. Guerriere a lottare sempre per difendere lo spazio vitale ad ognuna concesso e magari, guadagnare un palmo di terra col sangue delle proprie consapevolezze mai dome, ad un sogno fatto di cambiamento che solo le donne sanno immaginare.
Ricordo con l’amore di un sorriso, gli anni dell’immaginario (anche mio) e collettivo, di gonne lunghe, di poncho portati come un velo sui gilet colorati e sulle camicie a fiori. Ricordo dell’aborto, del divorzio, di quelle grandi riscosse che riabilitavano, qualora ve ne fosse stato bisogno, le morti nelle fabbriche addirittura delle donne di Chicago o Detroit nei primi anni di quello stesso secolo che nell’amor dei loro figli – e dei loro uomini – scoprivano quel grande motivo di emancipazione primario, nel secolo dell’elettricità e della grande carneficina, nel secolo del genere umano sulla luna e dell’inizio della grande delusione collettiva in pasto all’edonismo estremo e violento, abbracciato, ahinoi, anche da molte donne perfino ignare, di seconda generazione. Ebbene quando ho letto per la prima volta il manoscritto, mi sono sentito piccolo perché neppure avevo sentito mai parlare di Nemesi e delle nemesiache e di cosa mi fossi perduto di grande e di quanto, di unico, avessero, ed hanno potuto produrre e regalarci, non ultimo, ovviamente, questo libro; e per quel che mi riguarda, oggi, avrei chiuso un cerchio tra i tanti ancora aperti della mia vita. Nel nostro piccolo, questa giovane casa editrice, L’inedito Letterario, ha oggi un’opportunità unica: accompagnare per mano, sul mercato editoriale, un monumento di esperienza civica, civile, teatrale, musicale, politica ed esponenzialmente patrimonio unico e indissolubile al mondo femminile.
Un libro da divulgare oltre che leggere, un punto di vista umano fuori dalle iconoclastie tanto in voga ed invece qui, piene di pane e vino quotidiano, fatica, pianto e passione. Il tutto, racchiuso in due nomi propri di persone intuibili nel titolo stesso: “La Nemesi di Medea”. Un punto di vista che arriva dalla genesi del collettivo iniziale e poi durato e vissuto cinquanta anni. Cinquanta anni di femminismo consapevole, non solo napoletano, ma oggi come non mai di tutte, anzi, di tutti.
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