Descrizione
“La Bandella di Fabio Martini”
La poesia di Susan Moore è come una falce che miete il grano. Non va tanto per il sottile. E quando passa passa. E quando passa si porta dietro di tutto: dalla giustizia calpestata, alle ingiustizie – non solo terrene – ma anche (e specialmente) umane. Parla di se stessa ma anche di tutti coloro che diventano consapevoli della realtà di ciò che significhi vivere. Allora la musicalità di queste ballate senza musica, diventa il filo conduttore dei versi che si susseguono e tutto diventa lì, a portata di mano. E dentro a quello stesso lì, ci sono i passi lenti, i nottetempi, i pentimenti e ci sono i pensieri dall’apparir senza senso, ma che hanno tanto di quel senso da diventare cenere e scarto aspirato, di un piacere vorace e veloce e precoce e lo dice l’autrice stessa, in una delle sue qui raccolte. Più precoce di ognuno di noi, la poetessa si pone dietro ad un nom de plume che a Boston o Londra potrebbe essere un Mario Rossi qualunque, ma nonostante questa scelta dimostra d’essere una personalità unica in un’epoca dove tutti, o quasi, tentan di poesia. Lei si porta dietro il suo bagaglio di latte arrugginite e pesi di una vita che sempre mette sul piatto, nonostante le carte non sempre fortunate come le nostre di noi tutti d’altronde, gioie e dolori; il perduto dietro e l’irraggiungibile avanti. Quasi una prosa in versi dove ogni scorcio è un lato di un prisma plurisfacettato dei mali singoli di tutti noi. Doveroso quindi non coinvolgere nessun grande a questa riflessione ma rimanere sul pezzo per tutta la lettura, cercando di scoprire dove voglia andare a parare, pur sapendo – e che già sappiamo – come andranno a finire le cose. Se poi qualcuno mi chiedesse a chi potrei paragonare la sua poesia, a volte nera, a volte grigia, di cui le tonalità si perdono lungo un tragitto spigoloso e irto di ostacoli che alla cromatizzazione allora diventerebbero pastello sull’antico andante – e quotidiano peso – della vita di tutti i giorni, ebbene, al di là delle parole che tanto non bastan mai, ribadirei di come questa silloge sia da leggersi lentamente, centellinando i fogli, i versi, in quei giorni lenti nell’attesa di un istante supremo, di cui ci parla l’artista che nella poesia ha trovato l’espressione artistica più alta ma raggiungibile. Un buon regalo per i nostri giorni, una lettura per tutti forse, o almeno quasi tutti… noi.
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