Descrizione
Alberto Baroni amalgama le sue linee con sapienti simmetrie alternate, incatenate o baciate ed è questo di per sé un marchio, a nostro giudizio, inconfondibile di attitudine lirica specifica, e il suo sigillo formale va di pari passo con l’afflato contenutistico che mai si sdrucisce per soggiacere all’assonanza, veicolando al lettore sempre un’emozione parallela e binaria, quando egli va in interlocuzione con gli affetti filiali, all’atto di ammirare attonito la natura che lo circonda e gli parla con le sue variegate fenomenologie, nel momento dell’immedesimazione solipsistica con un’umanità fisiologicamente monadica ed eremita, nella presa di distanza dalle bramosie arrivistiche degli umani, nell’angoscia della perdita della compagna della vita, nella prospettiva della dipartita da essa, nella contemplazione estatica della malia serotina, quando l’emozione per i ricordi dell’infanzia perduta si fisicizza nella figura di un’antenata incancellabile, allorché altrove emerge lo sdegno e la presa di distanza verso vertici di una società infissa nel dispregio dei sottoposti, nel tratteggio rapido ed incisivo della malinconia e della catarsi attraverso le lacrime, senza rinunciare all’eleganza eterea del sonetto per istoriare la donna della vita o altresì nel bozzetto struggentissimo di un’escursione su due ruote, nelle terzine levigatissime e leggerissime con le quali si dipinge il ribellismo intimo e connaturato della stagione del risveglio, nelle quartine alterne in cui esplode l’intenso ricordo d’un parente aviatore, nelle impeccabili baciate a reiterare l’angoscia per la stagione del caduco imminente e la speranza che nuovi eredi le ridiano linfa, nel rapido scatto emotivo intriso di premura ad accomunare la visione di vecchi, neonati e bimbi ammalati, nell’invettiva contro l’auri sacra fames che divora l’essere umano senza esclusioni di sorta, ovvero nelle splendide terzine dedicate all’indefettibile ed immarcescibile compagna della vita, o nelle quartine descrittive dell’estraniamento dell’essere umano finalmente angosciosamente conscio della propria senescenza, o nelle armoniose quartine endecasillabiche alterne in cui si dà il commiato al sorgere della luce, o in quelle in cui si tratteggia amaramente il cursus honorum di un baby- capobanda di camorra.
Ma la poliedricità dell’artista non lesina momenti di solipsismo d’alto lignaggio anche nel verso libero ed affrancato da simmetrie ed assonanze, anzi forse proprio in quelle linee svincolate il suo messaggio si fa più partecipe e grondante dolore, quando:
- osserva costernato la deriva dell’uomo contemporaneo gravido di odio razziale e di sete di sangue;
- prende scetticamente le distanze dalle assurde accelerazioni del medesimo auspicando le estasi rallentate nell’esame delle bellezze della natura;
- trae spunto dagli asserti di un Premio Nobel per la pace e ne rafforza le convinzioni sull’egotismo di chi comanda;
- esterna angosciato di fronte al fracasso mondano intriso di sete di tacere;
- guarda incantato e attonito la magia del satellite notturno;
- raggela rabbrividendo nell’effetto della senescenza altamente limitante;
- esalta il panegirico catartico tracimante dell’ispirazione creativa;
- fotografa col flash la metafora fluviale, specchio di un’esistenza e variopinta e in chiaroscuro;
- ritrae fascinosamente e fugacemente l’afflato psichico furtivo, pronto a saccheggiare gli spunti emotivi della natura;
- ammalia nella metafora del serpente, sema dell’eterno ritorno, il suo empito a sottrarsi ad un ingravescente taedium vitae;
- dona brividi nella costernazione della genitrice straziata per l’incidente esiziale che l’orba del frutto del suo ventre;
- angoscia oltremodo nella frattura giorno/notte, luce/buio patita dall’uomo nel fisiologico oscillare tra cielo e terra;
- stringe il cuore angosciosamente nella dipartita d’una cara conoscente del medesimo villaggio;
- martella la coscienza coi suoi ritmi decasillabicamente anapestici nell’atterrimento della mamma emigrante di fronte all’odio per il diverso;
- risuona tragicamente ieratico nella visione costernata della desertificazione folle dell’animo umano nella sua incosciente protervia monadica a cassare lo spirito solidale che al poeta pare l’unica salvezza per l’umanità;
- balugina di luce e speranza nel “carpe diem” della gioia, anestetico della vecchiezza, abbarbicata com’è alle più intime ed apparentemente routinarie emozioni quotidiane;
- toglie il fiato nella memoria d’un legame sentimentale troncato sul nascere rinverdito attraverso le pagine d’un libro;
- costerna nella raffigurazione dell’ateo invidioso della fede del credente;
- avvolge di pena nel dipinto della monadica indifferenza dei coetanei a diporto nel paese, inopinatamente e miracolosamente interrotta dalla visione della bellezza ed innocenza infantile identicamente transeunte;
- affascina nella spontanea solidarietà che si reitera per l’immigrato ambulante nell’efficacissimo contrasto tra il policromo campionario in vendita e la grigia freddezza degli astanti compratori autoctoni;
- strazia nel doloroso saluto all’ex istrione oramai giudicato spento e sorpassato.
Né mancano all’ispirazione multiforme del poeta anche tentativi di mescola tra le strutture assonanti e il verso libero come in “E sgorga il pianto”, “Megalomane”, “Disincanto”, “Dell’esistere”, “Dal nulla si rinasce”, “Guardarsi dentro”, “Perdersi nel cielo”, “Triste presagio”, “All’improvviso il nulla”, “L’Ave Maria”, “Vanitoso”, e nella splendidamente anaforica “Un lento fiume di parole”, senza che la vis formale e strutturale dei singoli componimenti venga mai meno.
Ed in chiusura di silloge, dolcissimo è il trastullo del lettore nella perfetta obbedienza alle sequenze delle forme poetiche nipponiche, partendo dall’etereo 5-7-5 dell’haiku, passando ai meravigliosi contrasti del 5-7-5-7-7 dei tanka ed ai flash struggenti del 5-7-5 dei senryu fino al doppio 5-7-7 dei sedoka, laddove il poeta rivela tutta la sua maestria e formale e sostanziale col pieno possesso dell’anima lirica e creativa del meraviglioso popolo dell’Estremo Oriente.
Alberto Baroni, in sintesi, mostra una versatilità ed una polivalenza compositiva sempre scevre da vacui e criptici ermetismi, rivelando costantemente l’anelito ad un chiarissimo e trasparentissimo messaggio che giunge al lettore in piena vena cristallina, non importa se l’autore è periodicamente lambito da flussi di solipsismo cupo ed introverso, non conta se le repentine e frequenti risalite umorali ne costellano i versi di solare e luminosa e radiante speranza: in ogni componimento egli lancia una sorta di traccia risolutiva al lettore ed è un privilegio poterne fruire la lettura in un mondo contemporaneo poetico gravato da astrusi simbolismi che scadono il più delle volte in meri esercizi formali pregni di figure retoriche inespressive e prive di semantica!
Consideriamo un onere piacevolissimo aver avuto l’onore di prefarlo!
MARIANO GROSSI
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