Descrizione
“La bandella” di Fabio Martini
Una sorta di neo-crepuscolarismo il retrogusto che resta dopo la lettura dei versi di Stefano Lo Cicero. Il tempo che passa intransigente, la scrittura minimalista, nel senso vero e unico del termine, sia nei versi che nelle parole stesse, scelte in modo quasi certosino, a rendere l’intendere preciso di ciò che resta alla fine; e per fine non si intenda quella naturale della vita, ma la fine semplice e mera, del passaggio graduale, nel tempo e nei modi che portano a tutti i finali. Stefano Lo Cicero è, per chi non fosse addentro, un artista a tutto tondo, uno scultore, un pittore ma anche un poeta e scrittore rappresentativo di sé stesso; nel parlare, nel gestuare, nel modo totalizzante di rappresentarsi a chi lo incrocia.
Nella poesia, e questo l’ho notato già dalle prime avvisaglie delle brevilinee versificazioni, sarà l’esperienza raggiunta dall’età, soggioga il verso; lo prende e lo slisca, prende l’avanzo e lo getta, e resta la polpa che scontorna con lama tagliente, quindi lava, sotto l’acqua corrente e poi posa pulita sul piatto immacolato, dell’avventore.
La sua poesia è irta, complessa e ossuta in un clima, come già detto, colmo di crepuscolarismo in bianco e nero come i disegni che accompagnano la raccolta; pochi ma buoni verrebbe da dire, ad annoverar l’etate del poeta in un chiaroscuro di bianchi e neri, confusi, irrequieti e angoscianti quasi da girone dantesco, amalgamati e contratti in maniera centripeta, dove le forme si avvolgono e si mischiano ed anche la poesia, riceve la stessa ratio.
Lo dice lui stesso nella poesia dedicata all’immanenza della poesia stessa e che trascendendo declina: “Nell’infinito spazio della consistenza, la poesia, con ali di parole, violando i segreti del pensiero, vibra di luce propria, per trovare la giusta dimensione che la porta a vivere e gioire” ed in una tutta sua variante intimista rifugge i toni ampollosi e roboanti, ma predilige la rappresentazione della riflessione della vita in uno stile sfumato, ma non dimesso, dove lo spinger di punta, porta alla riflessione tipica dell’aforisma.
Un onore per L’Inedito avere Stefano Lo Cicero tra i propri autori, una specie di interazione tra arte grafica e poesia, coscienti che i poeti, strane creature diceva una vecchia canzone, sono ancora gli unici che tra un verso e l’altro danno il senso della trasparenza tra riflessione e realtà, tra trascendenza ed immanenza, dove L’Inedito stesso, gioca un ruolo intrinseco: l’esser custode e detentore di un amore profondo e saggio verso la poesia come punto immobile del ciclone, centro di questo incerto mondo odierno, ma che per menti mai dome, contiene l’embrione dell’incline leggerezza dell’esser mortale, ed infinito… allo stesso tempo.