Descrizione
LA BANDELLA di Fabio Martini
A volte si torna. Si torna da dove si è arrivati – o si pensa di essere arrivati – e si torna. Un po’ per curiosità di come stia chi è rimasto mai, o per rivedere i luoghi dell’infanzia, luoghi dove tutto si ricordava molto ma molto più grande. Il bambino in noi che parla al bambino cresciuto. A volte si torna, dicevamo, sino a che si cerca; e tanto si fa che si combina il pasticcio di voler interloquire con il passato tentando di cambiare l’ordine delle cose, ed è lì che si finisce per combinare il guaio. Cosa sarà mai se non il tentativo di rimediare ai peccati. La remissione dei peccati almeno, foss’altro solo per sapere d’esserci stato e di aver rimediato. Tutti non vi sono più: il negozio che era lì è finito chissà dove, e al suo posto c’è uno studio medico, chi l’avrebbe mai detto, può esservi uno studio medico che sa di pesce? E tutto, proprio tutto, pare estraneo; eppure estraneo non è: i palazzi, gli angoli, i gradini, i portoni, sono sempre gli stessi. Ci finisci pure davanti al citofono del palazzo dove sei nato e cresciuto, a guardare i nomi e tentare di ritrovarne uno almeno, da ricordare, e magari lo trovi pure, magari anche due o tre, al massimo, e così ti rassereni di esserci veramente vissuto, più o meno lì, più o meno al secondo piano, all’interno 8. E ritrovi tutti nella tua mente. E poi si torna alla realtà, ed ora, in questo inizio d’inverno, nel freddo e vento di questo mare inaridito dove nulla pare più avere un senso, un gruppo di scrittori e poeti, provenienti dai ricordi qui raccolti alla stazione della rimembranza, prima di quella della vecchiaia e dopo quella del tempo passato; impugnano le penne brandiscono i fogli, fanno spazio sul piano tondo del grande tavolo che sta al centro del salone che fu dell’infanzia, gettano a terra tutto, liberando il piano dalle tazze e dai piatti rubati al passato, vecchia polvere ammuffita non più sopportabile, pietre lanciate dai ponti, soldati di latta pronti alla guerra e legni marci in mezzo al mare, a ricordare i fantasmi che vi sono morti e i loro figlioli… e infine, pezzi di terremoti che, nel frattempo, son sopraggiunti. Si mettono quindi a sedere, prima l’uno e poi l’altro, sino a che tutte le sedie risultino occupate… a parte una. Poi via! E l’inchiostro come sangue, alacremente sgorga a colmare i bordi del bianco intorno, e di quel bianco intorno ne fanno linee di parole e pensieri, e senza mai mollare la presa, scrivono e scrivono ancora… Ecco, queste sono le loro storie, queste sono le loro poesie, che vengono per lo più dal passato remoto, a volte prossimo, a volte neppure è successo mai, se non nella mente… e così sia.