Descrizione
“La Bandella” di Fabio Martini
Quella di Claudio Benghi è una scrittura immediata, senza orpelli, a volte incalzante e di buona levatura contenutistica. Questo primo romanzo edito dopo almeno due o tre sillogi poetiche – che ho avuto solo il piacere di leggerne un paio – e tanta pittura – una vita intera di pittura – è un ulteriore motivo a dimostrare l’ecletticità di questo artista. Sono dell’opinione che quando si ha a che fare con tali e tanto, artisti, ci si ritrova in un vortice di esperienza verso la quale alla fine, in qualche modo, l’adeguarsi diventa d’obbligo e così, anche noi, l’abbiamo volutamente prodotto come desiderato dall’autore, non lasciando nulla a velleità editoriali.
L’argomento che si dipana, racconta di un giovane che “strada facendo” – leit motiv di tutta l’opera – racconta di sé, del suo lavoro primo – quello per vivere – che poi diventa il suo mestiere di buona parte della vita, e dove, dividendo i capitoli per luoghi, per nomi, per esperienze, raccoglie il tutto e lo mette in fila.
L’autore sembra aver voluto mettere ordine nelle cose e forse trasparirle tra un inventato e un vissuto di sponda, dimostrando iperbole letteraria mista a lessico familiare.
Come sempre L’Inedito coglie l’occasione per fare emergere autori nuovi cercati e trovati tra i meandri della sua presenza nel tessuto connettivo degli scrittori non ancora editati e investe volentieri con entusiasmo, non usuale in questo mondo.
Vi proponiamo la lettura del nostro scrittore al quale auguriamo una continuazione proficua intellettualmente anche nell’arte della narrativa. Vale la pena leggerlo e scoprirlo come merita. Buona lettura a tutti.
Primo capitolo (Piacenza)
Andrea Belletti stava guardando dal finestrino del treno il susseguirsi di un paesaggio nuovo per lui. Se pur uniforme e apparentemente innocuo, quello scenario nascondeva ansie recondite ancora non espresse.
Avrebbe dovuto affrontare un lavoro vero e soprattutto così diverso da tutto ciò che aveva fino allora, immaginato. Questo era ciò che sentiva in quella mattina dentro di sé, in un misto di timore, curiosità e speranza, la prima volta che andava a Piacenza per prendere contatto con la sua nuova realtà. Doveva inoltre cercarsi un alloggio, possibilmente non troppo lontano dalla stazione da cui avrebbe ogni volta preso servizio, sia di giorno che di notte.
Il suo futuro, astratto fino allora e ipotizzato solamente, avrebbe finalmente cominciato ad assumere l’aspetto di quella verità, quella che scorreva sotto il suo sguardo, affacciato al finestrino del treno.
La campagna insonnolita stava lentamente emergendo, quasi riluttante, dalle prime nebbie dell’autunno ormai alle porte. Nebbie che indugiavano ancora a qualche metro da terra, nascondendola e rendendo incerte le forme, in attesa che il sole le diluisse nel suo calore, come se non volesse destarsi dal sonno del suo riposo notturno. Andrea osservava incantato quel nuovo paesaggio seminascosto, incerto e pensava, come se fosse stata per lui una nuova scoperta, a quanto fosse più bello il non dichiarato, il velato, il riservato, piuttosto che l’evidente, perché portava con sé sensazioni non palesi che stimolavano la fantasia e il sogno, liberando la mente dall’obbligo della realtà.
Quelle immagini e quelle emozioni gli rimasero dentro e si fissarono in un posto del suo cuore che a distanza di tempo poté riscoprire e recuperare. Mentre pensava questo, ricordò che in verità, aveva già provato un’esperienza simile, se pur lo spirito era completamente diverso e le incognite infinite.
Era successo solamente l’anno precedente, quando chiamato a svolgere il servizio militare, si dovette recare a Orvieto per il CAR, in una atmosfera di incosciente timore, perché era la prima volta che si allontanava così tanto da casa sua e soprattutto da solo, cartolina precetto in tasca e valigia in mano, assieme a tutte le curiosità e le ansie che inevitabilmente lo accompagnavano.
Popolarmente era chiamata Naja, come sinonimo di vita militare ed era preceduta dalla fama più triste. Nel paese dove Andrea abitava, c’era una caserma del Genio Ferrovieri e quindi era già entrato in contatto, se pur esteriormente con quel mondo e quei militari, che non erano certamente visti bene.
Forse perché tutti giovani del sud, erano un po’ emarginati dalla vita del paese, almeno questa era la sua impressione di ragazzo in quegli anni sessanta.
Fortunatamente la spensieratezza e l’incoscienza della gioventù, riusciva a nascondere molto bene la parte negativa delle cose e gli accidenti della quotidianità, parevano lontani e riguardanti solo gli altri, così che il coraggio e l’energia si potesse meglio indirizzare alla vita.
Scorrevano intanto rapide le indicazioni delle varie stazioni attraversate, tanto che Andrea faceva fatica a leggerle talmente gli venivano incontro veloci, Fiorenzuola, Cadeo, Pontenure e poi finalmente a sinistra comparve la forma inconfondibile per il suo candore dell’Università Cattolica.
Allora lui non sapeva ancora cosa fosse, ma che, oltre ad essere un punto di riferimento del prossimo arrivo alla stazione di Piacenza, sarebbe diventato anche un luogo destinato a segnare un momento importante della sua vita futura.
Se ora di quel paesaggio Andrea ne coglieva gli aspetti emotivi, non immaginava che poi, l’ordine di tutte le città attraversate o comunque l’identificazione di qualche punto di riferimento certo, sarebbe stato essenziale per motivi più contingenti e necessari al suo nuovo lavoro.
Era una fortuna non si riuscisse a cogliere sempre l’insieme in una sola volta e che delle situazioni se ne vedesse solo parti separate, permettendoci di godere del piacere unico della scoperta, forse impossibile se fossimo coscienti anche dei suoi risvolti negativi. Saremmo scoraggiati dal percorrere quella strada se già conoscessimo tutto di lei, il gusto del percorso ci sarebbe negato, così pure quello del nuovo e del rischio che era parte del conoscere.
L’insieme tendeva a essere generalizzato, il dettaglio a essere analizzato e quindi a essere compreso. Era come quando si guardavano troppi dipinti tutti assieme oppure uno per volta, col tempo necessario per apprezzarli.
Il momento del globale sarebbe venuto solo dopo il particolare, questo è ciò che allora pensava Andrea.
In copertina opera dello stesso Claudio Benghi
La fermata di Oruec – matita dim.39×70 (2007)
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